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E dopo il voto arriva la procedura per deficit
A urne smontate arriva la stangata della Commissione Ue che apre una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia. Niente di più “telefonato”. In un momento in cui, a Bruxelles, tutto può accadere (persino che Von der Leyen centri l’obiettivo del secondo mandato), l’unica certezza (da mesi) era proprio questa. L’Italia, però, è in ottima compagnia. Sotto la scure dei contabili dell’esecutivo, infatti, è finita pure la Francia di monsieur Macron oltre alla Grecia, alla Slovacchia, alla Polonia, all’Ungheria e al Belgio. Sono riusciti a scamparla, per adesso, Repubblica Ceca e Spagna mentre per la Romania già da tempo si erano spalancate le porte (e le procedure) del rigore. A incastrare l’Italia i numeri imposti dal nuovo Patto di Stabilità (senza crescita). I limiti sono fissati nei paletti del deficit entro il 3% del Pil e del rapporto debito-Pil non oltre il 60%. I dati italiani, dopo anni di spese dovute alla pandemia prima, alla crisi energetica e alla guerra poi, sono ben oltre le soglie: il rapporto debito Pil è al 137% mentre il deficit tocca il 7,4% del prodotto interno lordo. Cifre e numeri che erano noti da tempo e, per queste ragioni, non sbigottisce nessuno la scelta dell’esecutivo Ue di proporre l’Italia tra i “candidati” alla procedura d’infrazione per debito eccessivo.
Stando alla Commissione, l’Italia soffre “rischi elevati nel medio termine” dal momento che “il rapporto debito-Pil aumenta costantemente” al punto che, nel 2034, potrebbe toccare il 168%. I ragionieri Ue ritengono verosimile che nel 2028 il debito possa continuare a salire rispetto allo scorso anno. Eppure, dall’analisi dei bilanci italiani, emerge qualche nota positiva. La prima su tutte: la maggior parte del “nostro” debito è in mano a creditori nazionali. In pratica, gli italiani posseggono il loro stesso debito. E ciò rende il Paese poco sensibile a influenze straniere. Un altro dato positivo, ma squisitamente tecnico, riguarda il fatto che il deficit italiano sia espresso in euro. Una circostanza che metterebbe il nostro Paese al riparo dalle oscillazioni del cambio internazionale. L’euroburocrazia, infine, è fiduciosa nell’apporto positivo del Pnrr e il Next Generation Ue sull’economia nazionale e, pertanto, esorta le istituzioni italiane a premere sul pedale dell’acceleratore. Fin qui gli aspetti tecnici. Ora, però, si va sulla pratica. I conti paiono presto fatti. L’Italia dovrà limare il deficit per una percentuale compresa, che sarà poi ufficializzata a luglio, tra lo 0,5 e lo 0,6 per cento. Sembra poco ma ballano miliardi. Nel primo caso, infatti, il governo dovrà tagliare spese per 11,2 miliardi mentre, se venisse applicata l’altra percentuale, la spending review dovrebbe raggiungere (almeno) 13,4 miliardi l’anno per sette anni. Almeno secondo la ricetta dell’ufficio parlamentare di Bilancio. Che ha invitato a ricalibrare le strategie economiche tenendo presente la necessità di mantenere un alto livello di investimenti pubblici, anche quando sarà finita la stagione Pnrr, e di rimodulare una politica fiscale propedeutica al risanamento dei conti del Paese.
Il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti non fa drammi. Per lui era tutto “ampiamente previsto, l’avevamo detto un anno fa”. Ora tocca lavorare: “Con il boom di deficit indotto dalle misure eccezionali non potevamo certo pensare di stare sotto il 3. Abbiamo un percorso avviato dall’inizio del governo di responsabilità della finanza pubblica sostenibile, che è apprezzata dai mercati e dalle istituzioni Ue, andremo avanti così, quindi non è niente di sorprendente, anzi all’applicazione delle vecchie regole del Patto”. Il ministro è consapevole del fatto che “la politica di bilancio non potrà che essere improntata al principio della selettività”. Ciò vuol dire stop allo schema Lsd: “basta lassismo, sussidi e debiti”, tuona Giorgetti rievocando l’immagine utilizzata per attaccare il Superbonus. Per il momento, il titolare del dicastero di via XX Settembre mette in sicurezza solo il taglio del cuneo fiscale: “E’ un must, un impegno assolutamente inderogabile e lo confermeremo”. Giorgetti coglie la sfida della crescita nonostante i nuovi paletti Ue: “Ritengo necessario che il percorso di aggiustamento che si andrà a definire nel Piano strutturale di bilancio su cui stiamo lavorando dovrà consentire di fornire il necessario supporto alla crescita e al sostegno dei redditi da lavoro”, ha dichiarato. E ha poi aggiunto: “Le risorse disponibili vanno inevitabilmente destinate alla mitigazione dell’impatto di eventuali shock sui soggetti più esposti”.