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L'indifferenza dei media moderni: tragedie umane ridotte a routine

L'indifferenza dei media moderni: tragedie umane ridotte a routine
Friday 11 - 13:30
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Il panorama mediatico globale, con il suo incessante ciclo di notizie 24 ore su 24, ha trasformato atrocità inimmaginabili in eventi quotidiani desensibilizzati. Mentre guerre, massacri e disastri vengono compressi in notizie di routine, la sofferenza umana è sempre più ridotta a titoli fugaci.

Sorseggiando il mio caffè mattutino, ho iniziato a preparare l'agenda delle notizie del giorno. Ho notato un riflesso inquietante: aggiungere resoconti di guerre, uccisioni di massa e disastri naturali alla scaletta con freddo distacco. Questa netta insensibilità, radicata sia nel pubblico che nei giornalisti, è un sottoprodotto dell'ambiente mediatico odierno.

Per quelli di noi nel giornalismo, il flusso costante di informazioni rende difficile elaborare la portata di questi eventi. Mentre ci prepariamo a riferire su una tragedia, un'altra attende la nostra attenzione. Questo ritmo incessante crea un'inquietante insensibilità al dolore e all'orrore che ci circondano. Quindi, quando il mondo ha iniziato a trattare le azioni in corso di Israele contro i palestinesi come routine?

Dal 7 ottobre, Israele ha intensificato i suoi attacchi al popolo palestinese. Nonostante le uccisioni in corso, lo shock iniziale è svanito e i resoconti quotidiani delle morti non catturano più le stesse reazioni urgenti. Il fatto che Israele prenda di mira i palestinesi non è più una notizia da prima pagina, è svanito sullo sfondo, assorbito dal monotono rimescolamento dei titoli. I media, e per estensione la società, sono diventati indifferenti alla sofferenza umana?

Oggi, non è raro vedere titoli come "34 palestinesi uccisi" riportati con lo stesso distacco di una previsione meteorologica. La normalizzazione di queste tragedie è profondamente preoccupante. Questa indifferenza si estende oltre la Palestina. Considerate queste storie recenti che ho aggiunto alla mia agenda senza esitazione:

- Attacco nel Libano meridionale: 9 morti
- Esplosione in una miniera di carbone in Iran: 50 morti
- Disastro del tifone in Myanmar: 113 morti, 64 dispersi
- Epidemia di encefalite acuta in India: 153 casi, 66 decessi
- Alluvioni in Nepal: oltre 200 morti
- Carestia in Afghanistan: famiglie che vendono le loro figlie

Non siamo più scioccati da questi numeri. Invece di chiederci quante vite sono state perse, ci chiediamo quale tragedia dominerà i titoli. La sofferenza umana è diventata così di routine che i media la consumano e la scartano nel giro di poche ore. Un brutale omicidio di una ragazzina in un villaggio remoto, un tempo notizia da prima pagina, viene presto dimenticato in favore di uno scandalo di celebrità.

Prendete, ad esempio, i recenti brutali omicidi a Istanbul. Un diciannovenne, ossessionato da una ragazza di nome İkbal per cinque anni, ha ucciso sia lei che un'altra donna, Ayşegül, prima di tagliare la testa di Ikbal e di donarla alla sua famiglia. Poi si è lanciato dalle mura della città, ponendo fine alla propria vita. Questo evento raccapricciante ha scosso il paese, ma nel giro di pochi giorni scomparirà dal ciclo delle notizie, solo un'altra storia sostituita dalla prossima atrocità.

I media hanno ridotto la sofferenza umana a semplici numeri, presentando morti e disastri attraverso fredde statistiche. Quando le tragedie vengono trattate come cifre astratte, perdiamo la nostra capacità di empatia. L'attuale conflitto israelo-palestinese, ad esempio, viene presentato come un ciclo infinito di violenza, spogliando la narrazione della sua tragedia umana. La normalizzazione della violenza offusca la nostra sensibilità, portando all'inazione globale.

È questa la nuova norma per l'umanità?

I media, lungi dall'essere un osservatore passivo, plasmano attivamente le percezioni della società. Mentre il giornalismo deve muoversi al ritmo degli eventi, non possiamo permettere che i resoconti costanti di morte e sofferenza diventino privi di significato. Ogni morte è una tragedia, eppure i media odierni le trattano come routine, riducendo le vite umane a notizie transitorie.

Le nuove tecnologie dei media, che un tempo promettevano di ritenere il potere responsabile, sono invece diventate strumenti per gestire la percezione. Piattaforme come i social media, pensate per amplificare le voci, ora seppelliscono i resoconti di uccisioni di massa sotto algoritmi. L'indignazione globale per le morti palestinesi si perde in un mare di contenuti concorrenti, diluiti da uno scorrimento infinito.

Nonostante i resoconti quotidiani di palestinesi innocenti uccisi, la copertura mediatica continua a dibattere su chi soffre di più, perdendo completamente il punto. Il conflitto palestinese non è solo un'altra notizia; è una profonda tragedia umana. Eppure, la ripetizione di questi resoconti ha portato a una normalizzazione della guerra, a un'accettazione dell'inaccettabile.

Mentre continuiamo a scorrere i feed di notizie, la realtà orribile delle atrocità di massa è diventata irrilevante quanto la velocità con cui raggiungiamo il post successivo. La desensibilizzazione dei media alla sofferenza umana è una delle grandi tragedie del nostro tempo.


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