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LIBERALMENTE CORRETTO – Ma almeno sono utili i Tar?
La c.d. giustizia amministrativa non è vera giustizia; ne è una parente lontana; una parvenza ingannevole. Non può essere raffigurata con la classica immagine della dea bendata con la bilancia dai piatti allineati, poiché i suoi occhi sono aperti, guardano di sguincio, e la bilancia pende da una parte. Siffatta giustizia, in Italia comunemente ritenuta indispensabile, è sconosciuta alla gran parte dell’umanità, senza particolari svantaggi per i cittadini che adiscono il giudice ordinario. I Tar e il Consiglio di Stato sono gli eredi dei cortigiani del Re, ai quali veniva demandata la “supplica” o l’”istanza” del cittadino che “lagnasse” di aver subito un torto da un funzionario del regno. Il cittadino, di fronte al famoso giudice di Berlino, poteva argomentare sull’ingiustizia subita e, in caso di accoglimento della supplica, poteva contare sul fatto che quella determinata ingiustizia sarebbe cessata. Ovviamente di risarcimento del danno nemmeno l’ombra. Non è molto cambiata (in Italia e parte d’Europa) la situazione odierna del cittadino, il quale confida sul fatto che debba pur esistere un giudice a Berlino. Nelle relazioni con la pubblica amministrazione, tanto pervasive e invasive che ne risulta occupata la magna pars della nostra vita, il cittadino è ancora un suddito, il quale, nei fatti, non vede riconosciuto il suo diritto all’integrale risarcimento del danno, derivante dall’atto amministrativo illegittimamente emanato oppure omesso. Egli può chiedere l’annullamento dell’atto oppure dell’omissione, ossia, in quest’ultimo caso, l’annullamento del nulla; e alla fine del percorso labirintico, che dura parecchi anni, nel corso dei quali deve peraltro riproporre periodicamente la stessa domanda di annullamento (per rinfrescare la memoria al TAR), pena la decadenza, può ottenere infine l’agognato annullamento. Dopodiché dovrà rivolgersi nuovamente al giudice amministrativo, affinché nomini un commissario ad acta, il quale possa infine “partorire” un nuovo provvedimento, in sostituzione di quello annullato. Per il risarcimento del danno si intravede una pallida ombra lontana, segnata sulla carta e ignorata nei fatti, sicché la sostanza delle cose non è molto dissimile da quella di tanti secoli fa. La pubblica amministrazione italiana, pur avendo avuto torto, ha sempre ragione. Male che gli vada, deve solo “correggersi” per l’attività futura, in conformità alla paternale del giudice amministrativo. La sanzione del passato manca in ogni caso.
Ma i piatti della bilancia non sono ben allineati per un’altra ragione. Una consistente aliquota dei componenti del Consiglio di Stato è nominata direttamente dalla parte processuale che siede in giudizio. Il governo nomina il 20% dei componenti del Consiglio di Stato, chiamato a giudicare degli atti di governo. In questo quadro, non desta meraviglia che una recente vicenda sottragga ulteriore credibilità alla giurisdizione amministrativa. La Corte di Appello di Roma ha disposto un risarcimento di circa 1 miliardo di euro a favore di TIM, per restituzione del canone di concessione, dopo un contenzioso di circa quindici anni. Il TAR e il Consiglio di Stato si erano pronunciati in maniera esattamente opposta e oggi la Corte d’Appello dispone il risarcimento del danno in favore di TIM, osservando la “macroscopica” violazione del diritto dell’Unione europea, ritenuta legittima dal Consiglio di Stato. Se il giudice ordinario ritiene che il giudice speciale sia incorso in un errore tanto “macroscopico”; se è trascorso invano più di un decennio, prima di scoprire ciò che era macroscopicamente visibile; se il contenzioso è approdato necessariamente innanzi al giudice ordinario; è lecito chiedersi: ma questo giudice speciale e sbilanciato, chiamato TAR e Consiglio di Stato, è almeno utile? O se ne può fare a meno, come opina la grande maggioranza dell’umanità?