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LIBERALMENTE CORRETTO – La paralisi strutturale degli investimenti pubblici
Due miliardi per gli investimenti pubblici fermi nella casse della Regione siciliana (titolo del Giornale di Sicilia del 30 aprile) inducono Renato Schifani a manifestare pubblicamente la sua ira funesta, già covata a lungo nel segreto delle sue stanze. Il Presidente della Regione minaccia di rimuovere i dirigenti generali, che non hanno rinnovato gli impegni di spesa, assunti nell’anno precedente e non ancora immessi nel bilancio dell’anno in corso, per la totalità o la parte dei fondi ancora (teoricamente) disponibile. Probabilmente ignora che in Italia vige una norma legislativa, che ci proietta all’avanguardia nel consesso mondiale delle nazioni. Uno dei tanti primati del Belpaese. Non siamo solo all’avanguardia nella politica dei bonus, generosa in estensione (bebè, monopattini, onoranze funebri) e in quantità (110/100 facciate; 120/100 sgravi fiscali annunciati); non solo nella politica della profilassi-prevenzione di tutti i mali di questa terra (vedasi lockdown similcinese per il virus cinese); ma anche nella regolamentazione degli investimenti pubblici, grazie a due ingegnosi brevetti: l’impegno di spesa, con privilegio di disimpegno, della pubblica amministrazione; il trasferimento del potere decisionale dall’organo politico al burocrate.
Il decreto legislativo 118/2011 dispone che siano cancellati gli impegni di spesa non giunti a compimento nell’anno solare. Il 31 dicembre di ogni anno “svampano” tutti i fondi stanziati e non ancora utilizzati, per lavori non ancora eseguiti. Di colpo le somme impegnate sono disimpegnate ope legis. Dal primo gennaio ha inizio un nuovo lungo iter burocratico di “riaccertamento”, se possibile più tortuoso del precedente, per “reimpegnare” le somme già “impegnate”. Se ne deduce che, in realtà, i contratti vincolano solo l’azienda privata, mentre la pubblica amministrazione “svincolata” a fine anno può, se crede, “rivincolarsi” l’anno successivo; dopo avere “riaccertato” le cose già “accertate”; ma nulla deve. Ovviamente, le interruzioni non sono nocive; anzi se ne avvantaggia la vita dei progetti e dei cantieri, la cui longevità è particolarmente apprezzata dagli italiani.
E perché mai, infine, l’ira funesta del Presidente si rivolge a mezzo stampa all’indirizzo dei burocrati e non viene manifestata agli assessori durante i lavori di giunta, come avverrebbe nella restante parte del mondo? L’uomo della strada pensa ingenuamente che gli assessori dirigano gli assessorati, assumendosi la responsabilità decisionale degli atti; e che i ministri dirigano alla stessa maniera i ministeri. E in effetti così va in tutto il mondo. Tranne che in Italia. Qui le parole hanno perso il loro significato. L’assessore e il ministro non decidono, ma si limitano a “indirizzare”, per vie generali e astratte, le decisioni dei loro “delegati”, veri capi degli apparati assessoriali e ministeriali. Il potere decisionale (di emanare i provvedimenti) appartiene al dirigente generale.
Queste due grandi trovate si coniugano con un terzo prodigio: la veste “managerialprivatistica” del burocrate. Il dirigente generale è divenuto “manager”, legato alla pubblica amministrazione da un contratto privatistico. Si è voluto imitare il sistema anglosassone dello spoil system, dimenticando tuttavia che in quei Paesi il politico assume la responsabilità dell’atto amministrativo e il burocrate è un suo collaboratore subordinato. In Italia abbiamo un “manager” che emana autonomamente l’atto amministrativo, con sottoscrizione autografa. Il suo unico cruccio è quello di seguire l’”indirizzo” dell’organo politico, ma una volta “indirizzato” assume da sé la decisione finale. Il risultato politico dei suoi atti, ossia il gradimento dei cittadini-elettori, non rientra nei suoi crucci. In sintesi, al vertice della burocrazia, siede un finto manager privatizzato, innalzato al rango di organo politico con potere di firma, al contempo inabilitato e abbassato, in quanto costretto a ripercorrere ogni anno la strada percorsa l’anno precedente. C’è da stupirsi che questo burocrate, privatizzato e “managerializzato”, innalzato e abbassato, non riesca o non abbia alcuna voglia di portare a compimento gli investimenti pubblici?
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