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PRIMA PAGINA-Ursula a caccia di voti nell’Europa che cambia
Si apre l’ultima e, certamente, la più frenetica settimana di trattative per la guida della nuova Commissione europea ed è iniziata la caccia ai voti. Se dopodomani la pubblicazione dell’agenda dei lavori dell’Assemblea dovesse confermare la data del 18 luglio per l’insediamento dei nuovi parlamentari europei, sarà infatti già questo il giorno, salvo colpi di scena, nel quale l’Eurocamera sarà chiamata a votare per la presidenza dell’esecutivo Ue. Un voto secco a favore o contro un secondo mandato per Ursula von der Leyen, formalmente investita dal Consiglio europeo alla fine dello scorso mese di giugno, che sulla carta può contare su una maggioranza apparentemente solida composta da popolari, socialisti e liberali. Il voto a scrutinio segreto agita però il fantasma dei franchi tiratori che già cinque anni sono quasi riusciti a bloccare la corsa dell’esponente tedesca della Cdu, alla fine risultata eletta solamente per una manciata di voti. Senza contare che per assicurare il sì alla von der Leyen nel 2019 sono stati fondamentali i voti ‘coperti’ di alcune delegazioni di gruppi ufficialmente all’opposizione. E la stessa cosa potrebbe ripetersi giovedì della prossima settimana, tanto che la presidente uscente e candidata in pectore sta sondando diverse strade ed ha avuto colloqui con tutti i gruppi al Parlamento Ue. Inoltre, come ha reso noto il portavoce capo Eric Mamer, la von der Leyen sarà a Bruxelles per l’intera settimana. Una presenza senza dubbio finalizzata a procedere con altri colloqui, tanto più che non sono previsti incontri di carattere istituzione ad eccezione di quello con il primo ministro olandese in agenda per questa sera. Questo tentativo di blindarsi, pur evitando di cercare sponde nei due gruppi di estrema destra e sinistra, Id e The Left, si intreccia però anche con un secondo aspetto, ovvero la composizione dell’intera Commissione europea. Sebbene questa partita decollerà solamente tra qualche mese, tra la metà di settembre e il mese di ottobre, finisce inevitabilmente per rientrare nei giochi già iniziati, tra accordi sulle deleghe e attribuzione delle vicepresidenze, esecutive o meno, per quanto riguarda i nomi che i singoli stati membri proporranno per occupare le caselle dei commissari. Una pratica che, per quel riguarda il nostro Paese, la von der Leyen dovrà sbrigare direttamente con Giorgia Meloni, nella sua veste innanzitutto di presidente del Consiglio italiana. Ma è chiaro che sul piatto della bilancia pesano sia il ruolo della premier che è presidente del Conservatori europei, sia la delegazione dei 24 esponenti di Fratelli d’Italia all’interno di Ecr. Il gruppo si conferma la terza forza al Parlamento europeo nonostante venerdì abbia perso i 6 eurodeputati di Vox migrati verso il nuovo gruppo organizzato da Victor Orban, Patrioti per l’Europa. Ecr al momento ha dunque solamente due rappresentanti in più dei liberali di Renew Europe che ne conta 76, mentre Patrioti per l’Europa arriverebbe a quota 75 qualora ci fosse l’adesione dei 30 europarlamentari del Rassemblement National e potrebbe provare a imporsi come terza forza politica corteggiando altre piccole delegazioni. In questo contesto un supporto ufficiale da parte dei conservatori al von der Leyen bis, operazione portata avanti da quell’area del Ppe contraria a un’alleanza con i Verdi che ha visto Antonio Tajani nelle vesti di pontiere, rischia di rivelarsi un suicidio politico per Ecr che si esporrebbe altre fuoriuscite, mentre un accordo per una delega di peso e una vicepresidenza all’Italia in cambio dei voti degli esponenti di Fratelli d’Italia suonerebbe come un inciucio. È quindi probabile che le quotazioni di Raffaele Fitto, stimato in ambienti europei e dalla stessa von der Leyen, a lungo in pole position per il ruolo di commissario, siano destinate a ridimensionarsi a favore di un tecnico o di un politico a cui affidare una delega di seconda fascia. In tal modo Giorgia Meloni potrebbe ritagliarsi una nuova centralità politica come promotrice di un’Europa diversa, ponendosi tra chi vuole resti tutto com’è e chi vuole addirittura superare il modello comunitario.