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Fecondità, Italia maglia nera Ocse1,2 figli per donna
L’Italia si conferma maglia nera per i figli: sempre meno e sempre più tardi. Lo testimonia un rapporto dell’Ocse, “Society at a Glance 2024” pubblicato ieri a Parigi. Che evoca, in particolare, il rischio di “gravi difficoltà economiche e sociali” sulle prossime generazioni. Secondo i dati in questione l’indicatore di fecondità è passato da 3,3 figli per donna nel 1960 a solo 1,5 nel 2022, nettamente al di sotto della cosiddetta soglia di rinnovamento di 2,1 figli necessario per mantenere una popolazione costante in assenza di immigrazione. E agli ultimi posti – come detto – e senza sorprese figura l’Italia, con appena 1,2 bambini per donna insieme alla Spagna, mentre la Corea del Sud è il Paese con la fecondità più bassa, con una stima di 0,7 figli per donna nel 2023. Tra i Paesi Ocse nel 2022 “il tasso più alto è stato registrato in Israele con 2,9 figli per donna seguito da Messico e Francia con 1,8 figli per donna. La diminuzione – precisa l’Ocse – è andata di pari passo con l’aumento dell’età in cui le madri hanno il primo figlio, cifra che è cresciuta da 26,5 anni nel 2000 in media Ocse, a 29,5 nel 2022. Tutti i Paesi dell’Ocse registrano dunque un declino di lungo termine del tasso di fecondità totale. “C’è stata una battuta di arresto temporanea, il calo durante gli anni 2000, ma l’indice ha registrato da allora una nuova tendenza al ribasso dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008”, si legge ancora nel rapporto.
E al proposito rimbombano le parole riferite dal New York Times di recente che aveva parlato di inverno demografico in Italia che fa il paio – sottolineano gli esperti – con un incipiente invecchiamento della popolazione. Secondo i dati dell’Inps nel 2050 gli over 65 saranno oltre un terzo della popolazione. Il Governo Meloni ha posto fin dall’inizio della sua legislatura una grande attenzione sul problema demografico. La prima legge di Bilancio concepita, infatti, dallo stesso governo in carica, dopo quella del 2023 di fatto ereditata dall’esecutivo Draghi, non ha ancora avuto gli effetti sperati sul nodo denatalità. La causa è stata addebitata alle risorse ancora limitate – per problemi finanziari ereditati dal premier – e che saranno necessarie per invertire la rotta. Ieri, sulla vicenda è tempestivamente intervenuto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Secondo cui il tema della demografia è fondamentale per l’economia del nostro Paese. “Da un punto di vista economico – ha commentato – il calo demografico è molto pericolosi. Come Governo italiano ci siamo posti già il problema puntando sulla necessità di garantire più libertà alle donne, perché per quanto mi riguarda è inaccettabile che una donna sia costretta a scegliere tra l’essere madre oppure andare a lavorare”. Secondo il vicepremier, dunque, “una donna deve essere libera di scegliere di essere madre, di essere madre e andare a lavorare o di non essere madre”, ma non la si può obbligare “a fare una scelta”. Tajani ha voluto anche ricordare che nella finanziaria in corso è stato deciso “di aiutare le mamme, da due figli in su, ai quali sono stati di fatto tagliati i contributi”. Rispondendo a una domanda sull’Italia durante la presentazione del rapporto, il direttore dell’Ocse per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari sociali, Stefano Scarpetta, ha dichiarato che la continuità delle politiche pubbliche a prescindere dai governi che si succedono nel tempo, l’accesso “al mercato del lavoro” a cominciare da quello di giovani e donne, e la lotta all’”incertezza” sono fattori chiave per contribuire al rilancio della fecondità”.
Tesi questa, ma anche quella di Tajani, che era stata anticipata sia pure in altre parole da Eleonora Valtolina, fondatrice di The Why Wait Agenda, secondo cui la denatalità ha origini complesse che affondano le loro radici in ritardi sociali e culturali che riguardano da vicino la parità di genere e il ruolo che viene attribuito alle donne. Come dire, aveva aggiunto, che “non è vero che le persone non vigliano fare più figli”.
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