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Draghi: Serve una svolta, non c’è più tempo
Siamo tutti in apprensione per il futuro dell’Europa: un’affermazione di Mario Draghi a Strasburgo da condividere pienamente. La delegazione 5Stelle nel Parlamento europeo, invece, incurante delle forme che impediscono di replicare a esperti che non rappresentino ufficialmente un Paese, dopo averlo ascoltato e averlo visto lasciare l’aula al termine della presentazione del suo rapporto, lo ha criticato per aver rifiutato il confronto con i parlamentari, gridando al “teatro dell’assurdo”.
Ieri Draghi ha dimostrato di voler impegnare al meglio il tempo che – fino al 30 settembre – gli resta per rappresentare ufficialmente quanto crede vada tenuto in conto per rilanciare la crescita dell’Unione europea. La sua preoccupazione è fondata sul timore che, in assenza di un cambio di rotta, “con il tempo diventeremo inesorabilmente meno prosperi e meno sicuri, e quindi meno liberi di scegliere il nostro destino”.
L’occasione di una plenaria del Parlamento europeo, per una discussione sul rapporto sulla competitività presentato la scorsa settimana alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Il suo punto di partenza è che “l’Europa sta fronteggiando un mondo che sta attraversando cambiamenti drammatici, il commercio rallenta e la geopolitica si sta frammentando, mentre l’innovazione tecnologica accelera”. Un mondo in cui gli equilibri consolidati vacillano, ha spiegato, mentre emergono vulnerabilità che insidiano il futuro.
“Di tutte le maggiori economie – ha detto Draghi a Strasburgo – l’Europa è la più esposta. Perché siamo i più aperti, il nostro rapporto commercio internazionale-Pil supera il 50%, rispetto al 37% della Cina e il 27% degli Stati Uniti”. E dipende da pochi fornitori sulle materie prime critiche e dalle importazioni per molte tecnologie “Per la produzione di chip, il 75-90% della capacità globale di produzione di wafer si trova in Asia”). E nel frattempo “abbiamo i prezzi energetici più elevati. Le imprese devono sopportare prezzi di 2-3 volte più alti di quelli di Stati Uniti e Cina. Siamo gravemente in ritardo sulle nuove tecnologie: solo 4 delle delle 50 maggiori imprese tecnologiche sono europee”. E siamo i meno pronti a difenderci. “L’Ue è, nel suo complesso, il secondo Paese al mondo per la spesa militare” ma è frammentata, non produce su scala,
non standardizza: “In Europa si producono dodici diversi tipi di carri armati, gli Usa ne producono solo uno”.
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