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Nomine Ue, parola al neo parlamento
“Italia sì, Italia no, Italia bum”, cantavano Elio e Le Storie Tese per la prima volta nel 1996 dal palco del teatro Ariston a Sanremo. Parole che, ventotto anni dopo, da un palco che non è quello del Festival della canzone italiana, bensì quello del Consiglio Ue a Bruxelles, suonano decisamente attuali e tratteggiano in maniera decisamente eloquente alcune delle principali dinamiche che hanno portato all’accordo sui top jobs dell’Ue. Dopo l’accusa di un accordo chiuso a tavolino che ha visto l’Italia esclusa dalle trattative che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha lanciato senza mezzi termini, intervenendo alla Camera e al Senato proprio in vista del vertice europeo che si è svolto giovedì e venerdì della scorsa settimana, a livello comunitario si è levato un coro unanime teso a ribadire la centralità del nostro governo nelle scelte sul futuro dell’Europa. I leader politici e le cariche istituzionali che hanno sfilato nel capoluogo belga per partecipare all’assise dei capi di stato e di governo o alle riunioni preparatorie, formali o meno, che quasi tutti partiti europei hanno tenuto, dopo la sbottata della premier hanno rilasciato dichiarazioni che sono suonate come un brodo di giuggiole. Tante le sviolinate per ribadire la centralità italiana e del suo governo nelle scelte strategiche cui è chiamata l’Europa. Insomma, da Manfred Weber a Olaf Scholz, passando per Donald Tusk e Kyriakos Mītsotakīs è stato tutto un sottolineare “Italia sì”. Ma si su cosa? Semplice, sul tentativo di ottenere il via libera di Giorgia Meloni al pacchetto di nomine preconfezionato da popolari, socialisti e liberali secondo lo schema, da almeno due settimane già ben noto a tutti, von der Leyen riconfermata alla guida della Commissione, Costa alla presidenza del Consiglio e Kallas Alto rappresentante per la politica estera Ue. Un pacchetto la cui definizione è stata abbondantemente contestata dall’inquilina di Palazzo Chigi che l’ha definita sbagliata “nel merito nel metodo” utilizzato. Nessuna discussione preliminare sul programma di mandato per le tre cariche in questione, una logica maggioranza-opposizione che poco ha a che vedere con quelli che sono incarichi istituzionali e non politici e scarsa considerazione del voto espresso dai cittadini europei, sono in sostanza le motivazioni alla base dello strappo che hanno portato all’astensione italiana. Uno strappo che nel giro di poche ora capovolge completamente la narrazione. “Italia no”. Per compiere poi il passaggio successivo, almeno per i partiti di opposizione in Italia – tra i quali un Pd che non ha ancora sciolto la riserva sull’ok alla triade designata dall’asse franco-tedesco quando toccherà all’Europarlamento esprimersi a scrutinio segreto e un Movimento 5 Stelle che ha già annunciato la propria contrarietà a un secondo mandato per Ursula von der Leyen -, e giungere a “Italia bum” il passo è stato davvero breve. Il Paese adesso è isolato, siamo all’opposizione in Europa, l’astensione è sbagliata perché non è né carne né pesce, la Meloni emargina l’Italia, siamo più deboli e via dicendo sono le principali catastrofiche accuse piovute da quella stessa opposizione che non ha ancora chiarito il proprio posizionamento o che lo ha espresso in modo molto più netto di quanto non abbia fatto il governo italiano. La verità è che al di là delle belle parole degli altri paesi europei, l’unica loro intenzione era quella di accaparrarsi il nostro sì alle decisioni dalle quali ci hanno escluso.