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Un limite al grano ucraino, ora la Ue ci pensa
Un limite al grano ucraino, al regime agevolato di dazi che sta mettendo in ginocchio le imprese e ha contribuito a portare in piazza, in ogni piazza europea, i trattori. La Pac sarà revisionata ma c’è ancora tanto da fare per salvaguardare l’agricoltura europea e, come prima cosa, bisognerà lottare contro la speculazione che rischia di mandare sul lastrico le imprese comunitarie. Lo hanno denunciato, già ieri, da Bruxelles, gli agricoltori francesi, belgi e olandesi. Ieri il tema è arrivato al centro dell’agenda politica ed economica del nostro Paese. Con Coldiretti che ha parlato, apertamente, della necessità di evitare che il grano proveniente dall’Ucraina, venduto a prezzi di gran lunga più bassi rispetto a quelli praticati dagli agricoltori italiani ed europei, invada il mercato Ue. Il presidente Ettore Prandini, intervistato da Repubblica, ha dichiarato: “Credo sia corretto che l’Europa continui ad aiutare l’Ucraina favorendo le importazioni di grano, ma bisognerebbe anche fare in modo che questo grano non entri nel mercato Ue, che rischia di destabilizzare, ma venga invece stoccato e poi destinato ai Paesi che non hanno cibo a sufficienza per sfamare la popolazione, come i Paesi africani, che altrimenti vengono lasciati nelle mani della Cina, della Turchia e della Russia”. È quello che, in buona sostanza, denunciano da mesi i contadini di ogni Paese Ue. A cominciare dai polacchi che sono stati tra i primi a scendere in piazza contro le importazioni a prezzi stracciati di cereali dall’Ucraina. Il tema, chiaramente, è stato affrontato anche dall’Unione europea. Che, però, non può togliere il sostegno a una nazione in guerra contro il “grande nemico” della Russia. Intanto, nei giorni scorsi, Ursula von der Leyen aveva annunciato l’applicazione di dazi altissimi all’import di granaglie dalla stessa Russia. Un’altra “sanzione”. Che si inquadra nella guerra economica che l’Europa ha dichiarato a Mosca. Ma che non risolve i problemi denunciati dai produttori. Non è solo l’Ucraina, infatti, a far paura. Ma ci sono anche altre forniture, provenienti da Paesi dell’area ex Urss come, ad esempio, il Kazakhstan.
Ieri, sul tavolo del Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue, è spuntata una proposta per ridiscutere del regime accordato a Kiev, dall’esenzione dei dazi alle materie prime su cui è applicabile. L’istituzione dovrà bilanciare le esigenze di sostegno all’Ucraina con quelle di tutela della produzione agricola europea. Un equilibrio sarebbe stato trovato nel rafforzamento delle clausole di salvaguardia su semole, avena, mais e miele, la riduzione del termine per l’attivazione della salvaguardia automatica (da 21 a 14 giorni); l’aggiunta di un riferimento specifico al grano e agli altri cereali; controlli più severi sulle importazioni di cereali e semi oleosi; l’impegno della Commissione a controlli più rigorosi sulle importazioni di grano e altri cereali e ad utilizzare gli strumenti di cui dispone in caso di turbative di mercato. Per le delegazioni di Francia, Polonia e Ungheria, però, non è (ancora) abbastanza.
Non è tanto l’importazione in sé quanto lo squilibrio delle condizioni di concorrenza che lascia, come protestano i trattori a Bruxelles, gli agricoltori europei a dover competere di fronte a Paesi in cui gli standard minimi non sono nemmeno lontanamente comparabili a quelli imposti dall’Ue. Il tema dei prezzi, dunque, esposto alla speculazione internazionale. Su cui è tornato, ieri, il ministro all’Agricoltura Francesco Lollobrigida il quale ha dichiarato, a Radio 24, di aver “chiesto” all’Unione europea “di creare un osservatorio sulla trasparenza dei prezzi, sia all’interno delle filiere, cioè dal produttore fino al distributore, arrivando alla persona che consuma e acquista”. Secondo l’esponente di governo, infatti, “dobbiamo valutare se qualcuno approfitta della sua posizione dominante, mettendo in difficoltà ovviamente l’elemento più debole che nove volte su dieci è il produttore agricolo, a cui deve essere riconosciuto il giusto prezzo, che non può scendere sotto i costi di produzione, ma deve essere riconosciuto il giusto valore”