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L’ANALISI – Gianfranco Fini, la casa di Montecarlo e il “dolo eventuale” insufficiente
La sentenza del Tribunale di Roma n.5827/24 del 29 luglio 2024, nell’assolvere Gianfranco Fini da tutti i capi di imputazione relativi alla vendita della casa di Montecarlo, ne ha limitato la responsabilità ad un “segmento”, ravvisato nella ipotetica consapevolezza (cd. dolo eventuale) circa la provenienza illecita della somma pagata per l’acquisto. E ciò solo perché le parti del contratto erano società offshore ed a sollecitare l’operazione, ritenuta dai Giudici svantaggiosa per il venditore, erano i fratelli Tulliani.
I difensori di Fini, avv.ti Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno, al riguardo hanno validamente opposto l’inapplicabilità del “dolo eventuale”, equivalente al “non poteva non sapere”, essendo stato dimostrato, come lo stesso Tribunale ha riconosciuto, che nessun profitto era stato tratto da Fini dall’operazione, e che il prezzo pagato era pari al valore del bene indicato in bilancio e tutt’altro che incongruo. La sentenza tuttavia non ha tenuto conto del fondamentale principio (oggi sancito dall’art.27 Cost.) che la responsabilità penale è personale, come affermato nel diritto romano già nel 17 a.C. dalle Leges Iuliae de adulteriis coercendis e de vi publica et privata, e in seguito tra gli altri dal Beccaria in “Dei delitti e delle pene” (1764) e da Kelsen in “Reine Rechtslehre” (1934), la cui prevalenza su ogni altro criterio interpretativo avrebbe suggerito un’utilizzazione restrittiva, adeguata e misurata del concetto di “dolo eventuale”.
Questo principio implica infatti che la condanna penale sia fondata su prove che, oltre ogni ragionevole dubbio, possano dimostrare che l’imputato abbia commesso il reato con consapevolezza tale che, pur non avendo voluto direttamente l’evento dannoso, ne abbia accettato la possibilità del verificarsi come conseguenza della propria azione. E, in concreto, elementi come il prezzo giudicato incongruo e la natura offshore delle società non sembrano ex se sufficienti per dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’imputato avesse coscienza e volontà di riciclare denaro di provenienza illecita. La valutazione del dolo eventuale, infatti, non può essere approssimativa, né basarsi solo su sospetti o anomalie, ma dovrebbe fondarsi su prove concrete che, nel complesso, univocamente conducano a ritenere che sia stato effettivamente considerato e accettato il rischio di commettere un reato.
Solo questi elementi, che nella specie la sentenza non ha evidenziato, se non in misura insufficiente, avrebbero consentito di ravvisare il dolo eventuale nell’autorizzazione alla vendita dell’appartamento.