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Diplomatici americani in Siria per incontrare i nuovi leader
Una delegazione di diplomatici americani è arrivata in Siria, segnando un passo significativo nelle relazioni tra Washington e il Paese, ora sotto l'influenza di nuovi leader dominati dagli islamici radicali. La loro missione: avviare un dialogo sulla riunificazione del Paese, dopo tredici anni di devastante guerra civile.
La brutale caduta del regime di Bashar al-Assad l’8 dicembre ha posto fine a un lungo regno di repressione e violenza, ma solleva molte incertezze. I siriani, come gli osservatori internazionali, si interrogano sul futuro delle minoranze, in particolare dei curdi, e sul rispetto dei diritti umani in un Paese che rimane profondamente diviso.
Il clima a Damasco è segnato dalle manifestazioni della società civile, tra cui centinaia di persone che marciano per la democrazia e i diritti delle donne. Majida Moudarres, una manifestante di 50 anni, ha dichiarato: "L'era del silenzio è finita. Cercheremo qualsiasi posizione che danneggi le donne e non la accetteremo". Questo clima di rivendicazioni è amplificato da migliaia di manifestanti curdi, in particolare a Qamichli, che chiedono il rispetto della loro autonomia conquistata a fatica.
I diplomatici americani hanno iniziato la loro missione con un incontro con Ahmad al-Chareh, leader del gruppo islamico Hayat Tahrir al-Sham (HTS), classificato come organizzazione terroristica da diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti. Questo incontro segna un punto di svolta nelle relazioni diplomatiche, poiché è la prima missione ufficiale degli Stati Uniti a Damasco dall’inizio della guerra nel 2011. L’obiettivo di questa visita è discutere i mezzi con cui gli Stati Uniti potrebbero sostenere la Siria in i suoi sforzi per riconquistare la fragile stabilità, spingendo al contempo per una governance più inclusiva.
In questa occasione, Roger Carstens, responsabile delle sparizioni americane, si è recato a Damasco per cercare di raccogliere informazioni su cittadini americani scomparsi, come il giornalista Austin Tice, rapito nel 2012.
Gli Stati Uniti non sono i soli in questo approccio. Diplomatici francesi, tedeschi, britannici e delle Nazioni Unite hanno già effettuato visite simili, esplorando strade per la ricostruzione e la riconciliazione in un paese senza sangue.
Sebbene HTS abbia annunciato la rottura con il jihadismo, permane grande sfiducia nei confronti di queste nuove autorità. La Siria è infatti lungi dall’essere stabilizzata e la minaccia di una rinascita del gruppo Stato Islamico (IS) non è scomparsa. Gli Stati Uniti hanno recentemente raddoppiato la propria forza militare nel Paese, aumentando la propria presenza a circa 2.000 soldati, principalmente per sostenere le Forze Democratiche Siriane (SDF), composte principalmente da curdi, nelle loro battaglie contro l’Isis.
Allo stesso tempo, la situazione nel nord-est della Siria rimane instabile, con scontri tra curdi e combattenti sostenuti dalla Turchia, una situazione che recentemente ha provocato la morte di due giornalisti turchi.
Tuttavia, nonostante queste tensioni, le Nazioni Unite restano ottimiste. Il segretario generale Antonio Guterres ha sottolineato che per il popolo siriano persiste un “barlume di speranza”. In un vertice al Cairo, i presidenti di Turchia e Iran hanno invocato l'unità del Paese, sottolineando l'importanza di creare una Siria dove tutte le comunità, etniche e religiose, convivano in pace.
Il futuro della Siria resta incerto e la visita dei diplomatici americani potrebbe rappresentare un elemento chiave nella ricerca di una via d’uscita dalla crisi. Tuttavia, il cammino verso la vera pace e una riconciliazione duratura sembra ancora irto di insidie.
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