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I rischi del Fentanyl tra realtà e showbiz
L’incubo del Fentanyl è arrivato in Italia, ormai è una certezza. La cosiddetta droga degli zombie, il cui mercato collega Cina e Sudamerica e che i complottisti definiscono “la sostanza che vuole addormentare l’Occidente”, ha dato ormai prova della sua presenza nel nostro paese ed è stato appena attivato per la prima volta il piano nazionale di prevenzione, per evitarne la diffusione incontrollata.
L’oppioide in questione, ben ottanta volte più potente della morfina, è stato riscontrato, tramite verifiche svolte dall’Istituto superiore di sanità, come sostanza da taglio in una dose di eroina sequestrata alcune settimane fa nella zona di Terni, attraverso un controllo a campione svolto su un utente del Sert di zona.
È scattato quindi l’allarme nazionale. A tutti gli assessorati regionali alla Sanità è stata inviata una nota perché sollecitassero le strutture che si occupano di dipendenze a «informare le persone che fanno uso di sostanze dei gravissimi rischi per la salute del Fentanyl». Allertate anche forze di polizia e amministrazioni competenti, affinché rafforzino la rete di monitoraggio territoriale e aumentino l’attenzione in tutti i settori potenzialmente esposti. Le Regioni sono quindi state intimate ad alzare l’allerta a “Livello 3”.
La procura di Perugia, quindi, apre un’indagine. Lo ha annunciato il procuratore Raffaele Cantone: “Voglio cercare di capire se si tratta di un fatto sporadico o se ci sono episodi analoghi”. Anche perché si tratta della prima volta, in Italia, che il Fentanyl viene riscontrato in una dose di eroina. E questo potrebbe comportarne una diffusione massiva.
Ma anche il mondo dello show business segue la tendenza del racconto del temuto oppioide, tanto che nasce un dubbio. Non si distingue più quanto sia un’emergenza reale o narrativa. Libri, serie tv, film sulla dipendenza da oppiacei spuntano come funghi negli ultimi tempi. Il Fentanyl è senza dubbio anche una moda. Una fiction che tiene con il fiato sospeso spettatori, politica internazionale e nostrana.
Tra le serie più gettonate (e più recenti) sul tema Painkiller, uscita su Netflix ad agosto scorso, basata su fatti realmente accaduti negli ultimi 20 anni, relativi alla diffusione dell’antidolorifico Oxycontin, analogo al Fentanyl, a base di ossicodone, prodotto dalla casa farmaceutica Purdue Pharma di proprietà della famiglia Sackler. Tra il ’99 e il 2017 negli Usa sono morte almeno 500mila persone per overdose da OxyContin, un farmaco inteso come trattamento al ‘dolore cronico’. E queste sono certezze. Ma in quale misura l’universo della narrazione sta cavalcando il tema?
Painkiller è una rielaborazione di un testo di Patrick Redden Keefe e del libro di Beth Macy. All’inizio di ciascuno dei sei episodi si trovano altrettante testimonianze di persone reali, che hanno perso la loro famiglia. Un dramma poliziesco dove finzione e realtà coesistono. Ma quanto spinge questa finzione, per far girare il mercato dello show business e dell’informazione? Quanto il Fentanyl rappresenta davvero un problema per il nostro paese, per esempio?
In America da anni circolano serie di questo tipo, preparando il terreno a una produttiva tensione collettiva e sociale, che ha acuito l’attenzione mediatica sul tema. Già nel 2017 usciva infatti Bad Blood, serie su criminalità e droga, che racconta la scelta della famiglia Langana, che a un certo punto al mercato degli stupefacenti preferisce quello del Fentanyl.
Nel 2021, prima di Painkiller, è il momento di Dopesick-Dichiarazione di Dipendenza, miniserie di Danny Strong starring Michael Keaton e Rosario Dawson sulla crisi americana dovuta all’abuso di oppiodi (visibile su Disney+). Il risultato, va detto, è un prodotto coraggioso e di rottura, di cui Painkiller è solo una pallida copia.
Partendo dal libro-reportage pubblicato da Beth Macy nel 2018, Dopesick: Dealers, Doctors and the Drug Company That Addicted America, Danny Strong – che è una specie di one-man-band: attore, sceneggiatore, regista e produttore – ha creato una narrazione che mette in luce manovre spregiudicate e di stampo puramente ipercapitalistico. I soldi prima di tutto, in poche parole, un tema che a livello narrativo tira molto, da sempre.
Ma il Fentanyl ispira da anni da registi e showrunner, film e serie anche per giovanissimi come Euphoria. L’attore Angus Cloud, protagonista della serie in questione, è scomparso lo scorso 31 luglio per un mix di cocaina, metanfetamine, benzodiazepine e Fentanyl. Indimenticabile anche la scena in cui Rue (Zendaya), nel secondo episodio del 2019, assume l’oppioide e cade in un inquietante stato di incoscienza.
Ma non solo serie, anche libri di inchiesta, come L’impero del dolore, di Patrick Radden Keefe, che ha ispirato Painkiller, tradotto da Mondadori.
E ancora film, come Pain Hustlers, su Netflix da ottobre 2023, sul business dei farmaci contro il dolore. Il dramma diretto da David Yates è basato su un libro di Evan Huges. Emily Blunt e Chris Evans qui interpretano due giovani rappresentanti farmaceutici arricchitisi grazie a un cinico e discutibile metodo di mercato alla ricerca del puro successo economico, che ha dato via alla libera circolazione degli oppioidi e alla conseguente crisi di consumo da parte degli americani.
Non mancano documentari HBO come The Crime of the Century, 2021, di Alex Gibney, che hanno raccontato la lunga battaglia della DEA (Drug Enforcement Administration), di associazioni di parenti delle vittime, di Procuratori di vari Stati USA e del Dipartimento di Giustizia federale per stroncare questa strage legalizzata.
Dunque, il tema di certo esiste, il problema anche. Ma negli ultimi anni ha preso corpo anche uno storytelling che racconta il Fentanyl come una sostanza dal potente carisma narrativo, in grado di arricchire non più solo le case farmaceutiche, ma anche quelle editoriali, cinematografiche e televisive.